Questi due generi sono spesso confusi, associati o ben separati. Esiste dunque una netta differenza tra questi due generi o è possibile affermare che la fotografia documentaria sia etichettabile come fotogiornalismo?
Rispondere non è semplice data la sottile differenza, considerando il simile impulso allo storytelling. Oggigiorno non possiamo negare che il lavoro di Hine o Riis non sia anche giornalistico. Quindi, che differenza c’è tra i due generi? Per esaminare le differenze, a mio parere, è necessario prendere in considerazione l’aspetto tecnologico e metodologico.
Dalla Leica 35mm all'iPhone
Con l’invenzione della Leica 35mm, nel 1925, si potè pensare ad un’applicazione giornalistica della fotografia. Solo da quel momento, la flessibilità del nuovo mezzo fotografico poteva finalmente assecondare la crescente e necessaria lestezza del giornalista. Vien da se che fino ad allora non poteva sussistere, per i limiti tecnologici, un vero e proprio fotogiornalismo inteso come quello attuale. Il 35mm portò la macchina fotografica dentro l’azione, raccontando efficacemente le proteste sociali, le guerre o semplicemente regalando immagini mai viste prima, magari scattate di nascosto. Questi sono vantaggi tecnici che solo la discrezione di una piccola macchina fotografica può permettersi.
L’avvento del digitale rivoluzionò ancor di più tutto il processo di produzione, post produzione e distribuzione. Il fotografo cominciava a visionare le sue foto dal monitor, postprodurle nel suo personal computer e mandarle via internet al suo redattore. Il tempo che percorreva dallo scatto alla pubblicazione, con il digitale, diventò così breve che rivoluzionò davvero il fotogiornalismo. Un esempio attuale e strabiliante lo possiamo trovare nelle Olimpiadi di Rio del 2016 dove Ken Mainardis, vice presidente della sezione Sport di Getty Images, affermò che il loro team era in grado di completare la filiera di produzione e distribuzione in soli 120 secondi. Due minuti di tempo per portare l’immagine di un evento nel suo avvenire alle redazione dei giornali.
Ancora, l’agenzia inglese Alamy, con i suoi 40.000 contributori e 100.000 clienti in tutto il mondo, si dedica alla vendita di immagini giornalistiche e d’archivio. La sua policy, per la distribuzione delle immagini giornalistiche, prevede un limite massimo di 48 ore dalla data di scatto, oltre il quale la fotografia non è più considerata “live news” ma d’archivio
L’iphone, per citare il fenomeno smartphone, ha ulteriormente potenziato la velocità di produzione e distribuzione delle notizie. I cellulari contemporanei hanno la capacità di catturare foto e video, o addirittura effettuare live streaming con una semplicità mai vista prima. Le connessioni internet sempre più veloci, più economiche, nonché sempre più onnipresenti, agevolano tutto il processo di condivisione. Non è un caso che questo sviluppo tecnologico abbia permesso la nascita e lo sviluppo del cosiddetto citizen journalism, fenomeno per cui la persona comune, per mezzo di smartphones e social networks, opera un ruolo attivo nel processo di raccolta, analisi e diffusione di notizie.
entro il 2024 i cittadini produrranno il 50 per cento delle notizie peer-to-peer
Per alcuni, come Chris Willis and Shayne Bowman, questa rivoluzione tecnologica non è il degrado del fotogiornalismo ma proprio l’inizio di una nuova era, asserendo che entro il 2024 i cittadini produrranno il 50 per cento delle notizie peer-to-peer.
In sostanza la tempestività, aspetto largamente connesso allo sviluppo tecnologico, gioca un ruolo predominante nella differenziazione dei due generi.
I punti cardine della differenza
Gli esempi citati dimostrano come il dinamico ritmo di lavoro del fotogiornalismo contemporaneo si discosti dal documentario, più dilatato nel tempo. Un progetto documentaristico va al di la delle 48 ore. L’approfondimento su un tema specifico richiede mesi, a volte anni. Inoltre il documentarista, data l’assenza di tempestività, predilige, a volte, anche la vecchia tecnologia analogica, semplicemente per rappresentare meglio il proprio linguaggio visivo.
La vera differenza che dovrebbe discostare il fotogiornalismo contemporaneo dalla fotografia documentaria, ma anche, forse soprattutto, dal citizen journalism, credo sia la deontologia giornalistica a cui il fotogiornalismo professionale non può sottrarsi. La profonda comprensione del potere giornalistico di veicolare e plasmare la percezione di significato delle persone ha permesso, a molte unioni di giornalisti in tutto il mondo, di dare vita ad una lista di regole morali ed etiche a cui bisogna sottostare, con il fine di operare un giornalismo sano. La fotografia giornalistica deve soggiacere a un quadro etico rigido, il quale richiede onestà ed imparzialità nel raccontare una storia.
In concreto, essa deve rispettare quattro punti sostanziosi. La tempestività, di cui si è già parlato, spinge il fotogiornalista a rispettare un tempo fotografico rigido. Le fotografie, per possedere un’utilità giornalistica, devono avere un significato inerente ad un evento di recente pubblicazione. Il secondo punto è l’oggettività: questo aspetto richiede una riproduzione accurata della scena sia nei contenuti e, soprattutto, nel tono emotivo. Molte volte questo vuol dire spogliarsi da ogni vena artistica ed espressiva (stile personale) per facilitare l'interpretazione del lettore, permettendogli di decodificare diligentemente una storia ed esprimere, quindi, un’opinione esatta. Il terzo punto, l’aspetto narrativo, regola la discorsività dell’immagine accostata ad altri contenuti giornalistici. Il fine ultimo è di offrire una più facile decodificazione del fatto. In Italia, i fotogiornalisti iscritti all’albo ODG (Ordine dei Giornalisti), sono tenuti a rispettare il codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività. Quest’ultimo composto da 13 articoli separati in due macro categorie, i quali esprimono permessi e divieti.
Tuttavia, come in ogni cosa, c’è sempre una corposa differenza tra il reale e l’ideale. Anche questo campo non fa eccezione. Ancor oggi, in Italia, molti fotografi professionisti non sanno differenziare tra documentario, reportage, fotografia di strada e fotogiornalismo. Ne tanto meno dare la giusta importanza all'aspetto semantico: la nostra mente dà significato a quello che ci circonda attraverso associazioni che operiamo e immagini che evochiamo in continuazione. Paradossalmente il fotografo fa lo stesso, apportando un significato dentro il significante (la fotografia) attraverso la composizione.
Relativamente al fotogiornalismo, credo che la nuova tecnologia della fotografia a 360° possa eliminare la soggettivazione dello scatto fotografico, proprio grazie alla rimozione dell'atto compositivo.
E’ parzialmente vero affermare che le "immagini parlano da sole", perchè è in realtà la significazione operata da ognuno di noi che le fa comunicare. Tuttavia, in virtù di quanto detto in precedenza, il fotogiornalismo è probabilmente l’unico genere - fotografico s'intende- che non può concedersi questo lusso, ossia il privilegio di concedere libertà interpretativa. Il senso non può essere soggettivo, l’immagine deve essere sempre contestualizzata e spiegata. Con questa prospettiva, si potrebbe dire che un buon fotogiornalista è prima di tutto un irreprensibile giornalista e, solo dopo, un appassionato fotografo, talvolta artista.